UN GIUDICE: DOMENICO MATTAROCCI (1815-1903)
Brani estratti da un articolo sul Mattarocci, scritto dal dotto Arciprete frosolonese Prof. G.M.Zampini nel linguaggio fiorito del suo tempo e pubblicato sulla Rivista "Giornale del Sannio" del 1905.
Domenico Mattarocci nacque a Frosolone nel 1815 e morì il 1903. Fu un magistrato integerrimo di vita austera, carattere di ferro, ingegno luminoso, cuore buono.
Veramente illustre egli seppe innalzarsi da se', solo da se', per sole forze sue, a un'altezza che onora lui, la patria, l'umana famiglia. Parlo dell'uomo che ha onorato il suo posto ed il suo grado; parlo del magistrato eminente per dottrina e per decoro.
Ci fu chi disse, e lo disse dopo essere stato Ministro di Grazia e Giustizia, che la Magistratura in Italia e' un punto interrogativo.
Or io ho innanzi un uomo che tenne così alto e integro il suo ufficio di magistrato, da parere (anche per questo!) strano; un uomo che in tutta la sua vita fu un segno di ammirazione, e per la fermezza, e per la costanza, e per la nobiltà del carattere: un carattere che, al grandinare di molte tempeste, non piegò mai.
(Ricordiamo qui che egli fu giudice sia prima che dopo la creazione del Regno d'Italia).
Uomo di legge e di giustizia nel senso più antico e più sano della parola; e uomo di scienza, nel significato più moderno, fu anche innamorato dell'arte e d'ogni cosa bella.
Ero quasi bambino, e mentre con altri facevo il chiasso sulla piazzola, udii una voce sommessa e ammirativa: - il Presidente Mattarocci! - Tutti guardavano, e anch'io. La scena fu come quella che si racconta di Demostene, il quale, passando da una via di Atene, sentì dire da una donna che lo mostrava a dito con riverenza: - Vedi quell'uomo? E' Demostene! - Da allora mi si scolpì nella mente l'alta, solenne, austera immagine del personaggio tanto ammirato dal popolo semplice e buono della mia terra.
Ammirato come Demostene, fu poi da qualcuno maltrattato come Aristide, di cui Plutarco, narrando la scellerata votazione per l'ostracismo, dice che uno del popolo, non sapendo scrivere si rivolse proprio ad Aristide perché' scrivesse il nome. - Oh!, che male t'ha fatto? - Nulla! Io non lo conosco neppure; m'e' solo di noia sentirlo chiamare in ogni luogo giusto. - Lo storico osserva: "Gli Ateniesi superbi pigliavan ombra d'ogni grandezza".
Passarono anni parecchi, e un giorno, all'ora della passeggiata, io e un mio compagno di studi andavamo lungo la strada nuova, discorrendo di scuola e di lettere.
(A Frosolone esisteva già dal 1751 una scuola superiore, per cui molti ragazzi del paese e di quelli vicini avevano l'opportunità e l'incoraggiamento a studiare).
A una svoltata ci vien di contro quasi improvvisamente un uomo, che ci parve un forestiero, alto, col cappello a cilindro, tutto vestito di nero. Lo salutammo distratti; ma poi, dopo un pezzo, io, voltandomi a guardare, dissi: - Ma sai? quel signore dev'essere il Presidente Mattarocci! - E tornammo di corsa, e lo raggiungemmo in sull'entrare nel paese. Facemmo le scuse di non averlo riconosciuto, e lo accompagnammo fino a casa.
Io ho vivo il fatto nella memoria, e ho sempre presente il sorriso che l'uomo illustre ci fece, pensando forse in cuor suo: i giovani hanno altra anima che i vecchi!
Da allora, sempre che veniva a rifarsi nell'aria sana e gioconda della montagna nativa, io nessun giorno mancavo di vederlo, tirato dal suo confidente affetto. Non mi pareva vero che quell'uomo così sostenuto e austero, così serio nelle maniere, così grave nel contegno, avesse tratti d'amorevolezza squisita, e parole che a udirle incantavano.
I discorsi con me eran colloqui in dolce abbondevole vena. Interrogava spesso, lodava volentieri. Una volta sola gli riuscii increscioso, quando mi gli misi attorno per indurlo a scrivere le memorie della sua vita.
Ebbe un senso di meraviglia e di stupore che gli si dipinse nel volto......Parlando piano, come rispondesse a se' più che a me, disse: - Le memorie della mia vita! e a che e per chi servirebbero? E la mia vita merita l'onore della storia? E questa dovrei scriverla io?-
Ed io dissi: - A che serve la storia della vostra vita? Serve alla vita; alla vita delle nuove generazioni che hanno tanto bisogno di ritemprarsi, di riacquistar l'antica serietà degli studi, l'antica probità de' costumi, l'antica forza di resistenza, l'antica coscienza del dovere, del dovere che non teme minacce e non piega a lusinghe; serve a noi, vostri paesani, a quelli almeno che si gloriano delle loro glorie; serve a me, amico e ammiratore vostro....-
(Ma il giudice si decise a pubblicare poche pagine delle sue memorie solo tre anni prima della sua morte, nel " SUNTO STORICO" della sua magistratura, e ricordando quasi solo la sua carriera di avvocato e di magistrato).
Oltre a tale libricino abbiamo, ed e' testimonianza della dottrina varia, larga, profonda e del gusto letterario del Mattarocci, il bel libro sullo "sfregio" che ha titolo: "De' rapporti del bello sensibile col diritto positivo". (Napoli, Tip. Trani, 1856)
Cenni biografici
Gli fu maestro un medico di svegliato e bizzarro ingegno che, se era assai pratico nelle cure de' mali, sapeva conoscere nell'uomo i germi del bene. E fu quel maestro che, profetando l'avvenire del giovinetto, spinse e incoraggiò i parenti a non risparmiare sacrifizii, pur d'aprirgli la via degli studi.
Il Mattarocci ne parlava spesso, mostrando nella parola e nell'accento la gratitudine sua riverente per quel maestro.
La sua gloriosa carriera fu tutta un ascendere. Ricordiamo per accenni.
Terminato il corso (del liceo) nel Collegio di Campobasso, va in Napoli, e la' studia la pratica nelle Corti, la teoria nelle Biblioteche; e quando si presenta all'Universita', con la sicurezza di chi s'e' fatto maestro di se', ottiene la desiderata laurea di Dottore in Legge.
Tra le professioni liberali se ce n'e' una che piu' e meglio di tutte possa darsi il vanto di far conoscere l'uomo, che dell'uomo sia prova e cimento, essa e' la professione di chi amministra giustizia, "la più nobile, la più autorevole, la più necessaria professione alla civile convivenza, superiore a tutte le altre".
Il quale elogio della professione egli udì il primo giorno che fu a scuola per apprendere la scienza del diritto. E il Sunto Storico comincia proprio di qui, dal ricordo della scuola e del maestro. Dice: "L'unico mio maestro in giurisprudenza fu Vincenzo Palmieri, uomo di non comune ingegno, di meravigliosa memoria, atto a recitarvi in greco un lungo frammento delle arringhe di Demostene, letterato senza boria e senza fumo, avvocato eloquente, che impietosiva non di rado l'animo de' giudici della corte sino alle lagrime". Da quel maestro, questo discepolo; un discepolo che, salito ancor piu' su del maestro, il giorno che ripensa e scrive la propria vita, ridiscende e trova tutto se' stesso nell'uomo unico di fatto e di lavoro.
E' naturale che il maestro, facendo una prelezione, dovesse accennare alle molte e varie discipline che si uniscono "in parentela" a formare tutta la necessaria materia dello studio delle leggi, ed e' pur naturale che dovesse, come chiusa, "disegnare la missione dei giuristi".
Così proprio la chiama, missione; e il vocabolo, sebbene da una parte sia di nascita sacro, e dall'altra si presenti strapazzato per abuso, torna giusto per la nobile e benefica azione della giustizia, che e' quasi un sacerdozio civile, un'opera che si ispira a religione.
E' da riferire l'impressione che il Mattarocci ebbe del primo giorno di scuola. Dice: "Per più ore, meditato da me quel discorso, da me diciottenne, mi elevòo' la mente a manifesto entusiasmo, e mi accese l'immaginazione, come suole accendersi in un poeta: sicchè la sala della scuola pareami un tempio, e la cattedra un seggio in cui fosse assisa la più dotta e la pi bella delle muse. Divina la missione del giurisperito."
E' così naturale che il giovane nel suo fervore missionario aspiri a diventare un giudice. Con la laurea torna in paese, poi va di nuovo a Campobasso a far l'avvocato; e poi di nuovo a Napoli a un concorso, e divien magistrato.
Fu Giudice in Castelvecchio negli Abruzzi, in Casteldisangro nel Molise, in Mercato Sanseverino; fu Giudice istruttore in Salerno, in Napoli, in Reggio Emilia; fu Procuratore del Re in Teramo; fu Presidente di Tribunale in Monteleone di Calabria; fu Consigliere della Corte d'Appello di Catanzaro, della Corte d'Appello di Trani, della Corte di Cassazione di Torino; fu capo della corte di Lucera; fu Presidente nella Corte di Catanzaro dove fu colto da un grave male che lo costrinse al ritiro.
Il grande amore, sempre vivo, sempre costante, sempre operoso, generoso, coraggioso di Domenico Mattarocci e' stato alla giustizia. Il motto de' Salmi e' per lui: Dilexisti iustitiam (XLIV, 8), hai amato la giustizia. La giusta, retta, scrupolosa, luminosa amministrazione della giustizia, e' possibile solo a un patto: che l'uomo abbia quel timore sacro che fa sentire Dio.
Domenico Mattarocci l'ebbe questo timore, e percio' fu magistrato integerrimo; l'ebbe e fu, nella vita, uomo religiosamente pio.
Ecco la pagina di conclusione del Sunto Storico: "Tutti gli atti della mia vita dedicati al pubblico servizio si compendiano in una breve, intelligibile e veridica formula: "L'adempimento completo e inviolabile delle leggi".
"L'opera che mi era confidata rimuneravasi dallo Stato; per la qual cosa non avevo io diritto a verun'altra ricompensa. Ma bastavami la felice tranquillita' della coscienza per non aver altro a bramare".
E qui scrive la epigrafe che vuole sul suo sepolcro:
HEIC CINERES D. MATTAROCCI, APPELLATIONIS CURIAE PRAESIDIS,
QUI LEGIBUS OBEDIVIT TANTUMMODO: ITALIA TESTIS EST.
Poche parole, dalle quali esce la figura dell'uomo proprio come fu:
Qui le ceneri di D. Mattarocci, Presidente di Corte
d'Appello, il quale, testimone l'Italia,
obbedi' soltanto alle leggi.
Chi non sente di prostrarsi innanzi a questa tomba?